domenica 8 luglio 2007


CATTEDRA DEI NON-CREDENTI
di San Zulian

Sintesi a cura di Jacopo Zennari (adattamento di Daniele Spero)
Martedì 12 giugno 2007

Argomento dell'incontro: Alle radici della fede: cos'è il male?

Per introdurre l’argomento la parola è stata ceduta ai coordinatori:
1) Padre Konrad.
Bisogna innanzi tutto distinguere il male in tre specie: ontologico, fisico e morale.
1a) Il male ontologico deriva dalla creazione, non appartiene a Dio. E’ visto come mancanza di essere. Ciò che Dio crea, per forza deve essere meno perfetto di lui, perché l’onnipotente creando ex nihilo, crea il diverso da sé, quindi il creato, non essendo Dio, non può che essere imperfetto. Il male ontologico quindi appartiene a questo mondo creato ed è mancanza di perfezione.
1b) Il male fisico è il dolore, la sofferenza. La sua presenza si spiega col peccato originale: in principio Adamo ed Eva erano in una condizione di perfezione e non provavano la minima sofferenza, ma, dopo aver tradito Dio hanno perso il dono dell’impassibilità cioè l’immunità dal dolore, non potendo così trasmetterlo alle loro generazioni perché con loro ha peccato tutta l’umanità. Dalla Genesi 3, 16: “[Dio] disse alla donna: ‘Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue gravidanze; […]’. Disse all’uomo: ‘Poiché […] hai mangiato dell’albero, a proposito del quale ti avevo dato un comando, dicendo: ‘Non ne devi mangiare’, maledetta sia la terra per causa tua! Con sofferenza ne trarrai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te, e tu dovrai mangiare le graminacee della campagna. Con il sudore della tua faccia mangerai pane, finché tornerai al suolo, perché da esso sei stato tratto, perché tu sei polvere ed in polvere ritornerai.”
1c) Il male morale è il peccato. Esso appartiene solo alla creazione perché Dio non può peccare. Pur essendo libero di far tutto Dio non pecca perché il peccato è effetto della debolezza che non è in Dio in quanto è perfettissimo. L’esistenza del peccato è conseguenza del libero arbitrio. Gli angeli hanno potuto scegliere una volta sola se essere con Dio oppure contro, mentre noi scegliamo ogni giorno con i nostri pensieri e le nostre azioni.
L'uomo è già incline al male a causa del peccato originale, ma ha la possibilità di riscattarsi seguendo la luce divina. L’essere umano è una figura in bilico tra diverse le forze che lo muovono.

2) Don Massimiliano.
2a) Gesù Cristo è stato il primo a spiegarci cos'è il male. Egli è venuto per giudicare il male, per mostrarci cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, per donarci una legge morale perfetta, incontrovertibile, una strada diretta per il paradiso, sebbene non facile. Egli è venuto per lottare contro il male e sconfiggerlo con l’arma dell’amore. La croce rappresenta l’assunzione su di sé del male umano. Cristo ha patito l’effetto del nostro peccato, pur lui non avendo mai peccato.
2b) Nella preghiera “Padre Nostro” la frase “non ci indurre in tentazione” tradotta dal greco è: non lasciarci andare in tentazione, non farci cadere nella trappola che il Diavolo ci tende. Ma allora perché Dio permette al demonio di agire? Per un bene maggiore, affinché noi abbiamo merito della nostra scelta, per metterci alla prova.
Cristo ha voluto provare la tentazione su di sé per sconfiggere il Demonio nel suo campo di battaglia e per darci la forza, col suo esempio di fare altrettanto nelle piccole occasioni quotidiane.
2c) Il senso del peccato lo possiamo anestetizzare col passare del tempo; le persone che si abituano a comportarsi male, pongono un velo alla voce della coscienza che avrebbe sete di giustizia. Cristo è venuto sulla terra per sancire il bene e il male, in modo da risvegliare dalle tenebre, nelle coscienze delle persone, la strada che porta alla luce.
2d) Non abbiamo una risposta univoca nei confronti del male. Se Cristo che è Dio, non ha potuto evitare di patire fino alla morte, come pretendiamo noi di spiegare i nostri effimeri dolori? Solo attraverso lo Spirito Santo possiamo offrire il nostro dolore come sacrificio a Dio, abbandonandoci alla sua volontà e avendo fede che nulla è fatto per niente quando si costruisce con Dio: anche la sofferenza più inspiegabile ha un senso se è servita anche solo per un infinitesimo ad assecondare il progetto di Dio. L'uomo non ce la fa a reagire al male da solo, con le sue forze; ha bisogno della fede e della grazia.
2e) Il male rimane un mistero: misterium iniquitatis; non possiamo avere la presunzione di capire tutto il progetto divino, possiamo solo aver fede che tutto abbia un senso agli occhi di Dio.

3) Professor Tonon.
3a) S. Agostino motiva la presenza del male come mancanza di essere.
Aristotele aveva distinto gli esseri secondo queste caratteristiche:
§ vita vegetativa: piante;
§ vita sensitiva: animali;
§ vita spirituale (razionale, intellettuale, sociale, morale): uomo.
Se l'animale è ridotto solo alla vita vegetativa non si sente realizzato: se chiudessimo un cane dentro una gabbia per tutta la sua vita, limitandoci a nutrirlo, gli animalisti non sarebbero così contenti…
Così all'uomo non basta la sola vita vegetativa e sensitiva. Se lasciassimo un animale in un’isola deserta sarebbe felice perché potrebbe scorazzare senza limiti e vivere appieno la sua vita sensitiva. Ma per l’uomo la solitudine è sofferenza perché manca l’aspetto sociale, in quel caso c’è mancanza di essere. Lo stesso vale per un uomo che si rifiuti di agire in modo razionale, non può essere felice perché non risponde ad una sua esigenza fondamentale.
Ritornando al pensiero di S. Agostino: la gente crudele non esercita la sua parte morale, quindi soffre inconsapevolmente perché manca di essere; mancando l'etica è più simile ad un animale che ad un essere umano.

4) Professor Goisis.
4a) Rimarcando il pensiero di S. Agostino: la morte ad esempio è mancanza d'essere, simbolo della nostra finitudine, dei limiti connaturati nell’essere umano.
4b) Se si tentasse di spiegare cos’è il male, rientreremmo in un dualismo che concentrerebbe tutto il male in un unico polo ontologico ben distinto da Dio che di certo non può essere la causa del male. Si deus est, unde malem? Se un Dio esiste, donde proviene il male? L’esistenza del Demonio rischia di avvicinarci al dualismo ontologico. In realtà il Demonio non ha un potere assoluto, non scorazza liberamente nel mondo, altrimenti diventerebbe il dio del male. Allora il problema non è il Demonio, ma la debolezza costitutiva dell'uomo che è incline a sbagliare, anche a scapito suo, per la cecità di non cercare un bene maggiore.
Per quanto riguarda il male morale legato al libero arbitrio, è curioso notare come lo strumento della libertà renda a volte l’uomo “eauton timoroumenos ”: punitore di se stesso. Esemplare è la figura del serpente che fa leva proprio sulla debolezza umana e induce Adamo a privarsi delle sue qualità migliori a causa del peccato.
D’altra parte dualismo è anche quello di Platone quando sostiene che il male risiede nella materia.
4c) Più affascinante è forse interpretare il male come mistero alla luce di una fede escatologica. (Escatologia: il male lo capiremo solo alla fine della nostra vita quando Dio ci renderà partecipi del suo progetto.)
4d) E’ interessante notare come S. Paolo e Seneca per sentieri diversi giungano alla stessa conclusione del riconoscimento dei limiti dell’agire umano: “Vedo le cose migliori, le approvo, ma seguo le deteriori.”

5a) Socrate individua come causa del male morale la stoltezza. L’uomo quando agisce cerca il proprio bene, ma a volte sbaglia e si illude di trovarlo senza accorgersi che è la strada sbagliata. Commette il male chi è ignorante e non capisce cosa sia veramente bene per lui. Gli uomini per stupidità non si rendono conto che se al posto di essere egoisti, cercassero prima il bene degli altri, andrebbe tutto a loro vantaggio. Anche nelle parole di Cristo possiamo interpretare l’insipienza come causa del peccato: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
5b) Il pensiero di Socrate può essere obiettato considerando che esiste anche la debolezza della volontà a causa del peccato originale. Spesso, pur sapendo come sarebbe più virtuoso comportarsi, non agiamo in quella direzione per incapacità. Chi negherebbe l’assoluta perfezione dei precetti che Cristo ci ha insegnato? Però quanti riuscirebbero a metterli in pratica tutti?
5c) A questa obiezione si può rispondere cercando di salvare il pensiero di Socrate: l’uomo quando deve scegliere, non sempre riesce a prevedere ciò che di buono può ottenere come conseguenza della propria azione e spesso preferisce una gioia vicina e facile seppur piccola, piuttosto che fare un piccolo sacrificio, ora, per una gioia dieci volte maggiore in futuro: questa è stoltezza. D’altra parte non bisogna dimenticare che le scelte dell’uomo dipendono anche dalla sua finitudine: non abbiamo la certezza dell’esistenza di Dio, non abbiamo nemmeno la sicurezza di vivere in eterno, potremmo morire da un giorno per l’altro, quindi è comprensibile un lasciarsi andare al carpe diem.
5d) Un’altra obiezione al pensiero socratico potrebbe essere che non sempre l’uomo agisce cercando innocentemente, anche se egoisticamente, il proprio bene: spesso è preda di sentimenti di odio gratuito che come fine non hanno il bene proprio quanto piuttosto il male del prossimo. Basti pensare ad una persona invidiosa che spera il male dell’altro.
5e) Sempre tentando di salvare il pensiero di Socrate si può rispondere che l’uomo ha sempre una sua logica nelle azioni malvagie. Anche l’invidia è una sorta di autodifesa contro chi è migliore di noi e mette in secondo piano la nostra persona, minando la nostra sicurezza. Ciò che più fa paura è la persona che tenta di giustificare razionalmente il male commesso, o che seguendo una logica perversa non si rende conto del male compiuto. Anche Hitler era convinto di fare il bene della sua nazione…

6a) Per il non credente il male non esiste, non ha ontologia perché non esiste Dio, né tanto meno una morale universale. L'uomo è una brutta bestia. Ciò che chiamiamo male altro non sono che i limiti dell’uomo.
Solo i Cristiani, che credono che il loro Dio sia bello e buono, si chiedono meravigliati cosa sia il male e donde provenga.
Un non credente accetta semplicemente la misera condizione dell’essere umano perché non avrebbe senso chiedersi perché sia questa la nostra condizione e non un'altra: nasciamo così ma saremmo potuti nascere diversamente: è il caso che ha deciso senza tanti motivi.
6b) Ecco che la questione più deprimente è il male senza senso, la sofferenza ingiustificata, le ingiustizie non punite: ciò mette angoscia perché nega un ordine, un senso alla nostra vita.

7) Cos’è male?
7a) Male è tutto ciò che non rientra nel progetto divino. Ma allora il Male non ha fondamento ontologico, è solo mancanza di bene.
7b) Un bambino che cade in piscina e affoga mentre la mamma è voltata per un istante come va interpretato? Non è colpa di nessuno. E’ male?
7c) Per Dante cos'è il male? Il far male agli altri. Ha senso parlare di male solo se consideriamo l’uomo in mezzo ai suoi simili.

8) Qual è il peggiore dei mali?
8a) L’accidia: restare nella propria pigrizia, vedere il male nel mondo, ma non curarsene minimamente, non dare il proprio contributo alla società. L'indifferenza è uno dei più gravi peccati. La parabola dei talenti ci dovrebbe insegnare a metterci in gioco con tutte le nostre forze per combattere ciò che riteniamo giusto senza aspettare che lo facciano gli altri.
8b) Affinché il male trionfi ci vogliono i buoni che non facciano nulla.
8c) L’ipocrsia. A volte siamo falsi perché parliamo in un modo e ci comportiamo in un altro. San Paolo confessa di agire sia con la mano destra che con la sinistra. Tante persone fanno il male ma non lo vorrebbero fare; c'è qualcosa di più forte di loro che le spinge.
8d) Paura di dare cioè egoismo, e paura di riceve cioè orgoglio.


Prossimo incontro: martedì 9 ottobre ore 17.00
Martedì 15 maggio 2007


Argomento dell’incontro: Il mistero del male: una sfida a Dio?

1. Il professor Tonon ha presentato il pensiero dei filosofi Leibniz e Russell.
1.1 Leibniz:
quando Dio ha creato il mondo ha scelto tra infinite possibilità. Creando un'altra realtà, essa, essendo diversa da Dio stesso, non può avere un uguale grado di perfezione, altrimenti sarebbe già compresa in Dio, quindi necessariamente è meno perfetta di lui. Questa è la ragione per cui Dio ha dovuto scegliere tra realtà imperfette, ma, siccome è buono, ha scelto quella col minor male possibile (il migliore dei mondi possibili).
1.2 Russell:
Dio è responsabile del male perché, creando l'uomo, ne prevedeva contemporaneamente tutto il male che ne poteva scaturire.
2. Il professor Goisis ha precisato che, in primo luogo, bisogna chiedersi cosa intendiamo per male. Infatti ciò che a noi sembra male in realtà potrebbe essere un bene all'interno di un progetto più grande. La morte, ad esempio, non necessariamente deve essere interpretata come un male: se vivessimo tutti per l’eternità sarebbe meglio o peggio?
3. Voltaire contrapponendosi a Leibniz scrive Candide per criticare il suo ottimismo (nel periodo in cui scriveva si era appena scatenato un tremendo terremoto): questo non è il migliore dei mondi possibili, ma un teatro di dolori e sofferenze.
4. Padre Konrad per chiarire l’argomento ha ritenuto propedeutico distinguere il male nelle seguenti tre tipologie:
4.1 -male ontologico: Dio creando il diverso da sé non può dotarlo di tutte le perfezioni perché esse appartengono solo a Dio, quindi c’è un difetto connaturato alla nostra finitudine, una mancanza di essere che è male;
4.2 -male fisico: sofferenza umana, difficile da motivare soprattutto quando è subita da innocenti.
4.3 -male morale: deriva dal libero arbitrio dell'uomo, terribile ma con una sua logica.
5. Mentre il male morale è atroce, ma ha un significato, cioè quello che l’uomo scegliendo di allontanarsi da Dio non gode della sua vera realizzazione, poiché ha scelto la strada della perdizione, il male fisico invece è apparentemente inspiegabile. Perché Dio ci condanna a questo fardello, anche se siamo buoni, innocenti e credenti? Come possiamo spiegarci, infatti, la sofferenza dei bambini?
6. Se guardiamo non al singolo uomo, ma all’umanità nel suo complesso, avendo ognuno il libero arbitrio, cioè la possibilità di fare anche del male al prossimo, ci accorgiamo che Dio non è responsabile di questo male che ci facciamo a vicenda. Se uno pecca e si comporta male, le sue conseguenze ricadono anche sugli innocenti. Qualcuno ha sbagliato e per colpa sua anche dei bambini possono soffrire. Solo aprendoci a Cristo vediamo come l'ingiustizia trovi un senso: egli ha preso su di sé la tutta la sofferenza terrena e tutto il peccato commesso dall’uomo.
7. Se Dio è infinito perché ha creato il finito? Avrebbe potuto creare un infinito senza qualcosa, cioè un bene di grado solo un po’ inferiore, ma pur sempre infinito perché, come in matematica, infinito meno un numero fa sempre infinito. Avendo invece creato il finito, ha fatto una creatura infinitamente limitata, cioè deteriorata. Essendo Dio, perché non è riuscito a far di meglio?
8. Se è Dio che decide la natura delle persone, perché ha creato l'indole cattiva? Perché ci sono persone più cattive di altre? Può essere solo la conseguenza di una cattiva volontà o nasciamo già in modo diverso, congenitamente l’uno più cattivo dell'altro? Dobbiamo considerare tre fattori che decidono il carattere di una persona: natura, educazione, volontà.
9. Esiste il maligno? Siamo solo noi i responsabili dei nostri errori o nasciamo già con un’inclinazione sbilanciata verso il male che commetteremo?
10. Teodicea: la sofferenza esiste perché l’ha voluta Dio per il mio bene ed io l’accetto per mezzo della fede, anche se non ho la capacità di capirne la ragione. L'innocenza divina deve essere salvata.
11. La teodicea non basta: nella vita tutti, prima o poi, passeremo attraverso la tribolazione. Sono solo dei bei discorsi che servono per capire la realtà in linea teorica, ma non ci aiutano materialmente ad uscire dal dolore. Per accettare il male Dio ci ha donato la fede più che la ragione. Non tutte le sofferenze sono spiegabili e giustificabili razionalmente. L'uomo diventa superbo quando pretende di capire tutto. Dobbiamo piuttosto avere l'umiltà di non riuscire a racchiudere la complessità degli eventi nelle maglie della nostra conoscenza limitata.
12. La bellezza del creato ci suggerisce l'esistenza di Dio. Ma, viceversa, se guardo i bambini che soffrono e muoiono, come faccio a vedere la bontà e l’onnipotenza divine? D’altra parte non tutto il male vien per nuocere e la sofferenza è connaturata alla finitudine del mondo terreno: la donna soffre nel parto, ma crea il miracolo della vita; l'artista produce l'opera d'arte grazie al pathos; il dolore per la morte di un parente diventa la testimonianza più sincera dell’amore umano.
13. Se Dio conosce tutto (onniscienza divina) e può prevedere la storia, perché ha creato l'uomo in questo modo? Se lo scopo era quello di farlo partecipe della sua felicità, non si è accorto che l’uomo soffre e si contorce ogni giorno nella morsa del dolore? Un salmo dice: Dio ha fatto l’uomo poco meno degli angeli, di onore e gloria lo ha coronato. Ma questa visione non si scontra con una realtà completamente diversa?
14. Dio all’inizio ha creato l’uomo e lo ha dotato di tutte le felicità, ma anche di un’arma a doppio taglio: il libero arbitrio. Adamo, non riconoscendo i suoi limiti e avendo la presunzione di voler essere potente quanto Dio, lo tradì agendo per superbia, più con la volontà che con la ragione, e, mangiando dall’albero della conoscenza del bene e del male, si condannò ad una vita di sofferenza insieme alla sua stirpe. Dio è consapevole che la nostra vita deve passare attraverso la sofferenza, ma vuole che il dolore serva per rimediare all’errore commesso, per ricostruire la Sua Santa Alleanza, per dimostrare che l’amore supera qualsiasi ostacolo. Dio non aspetta che sia l’uomo da solo ad arrivare a Lui, ma lo chiama con la forza del Suo amore fino al gesto estremo di sacrificare Suo Figlio. Dio vuole il nostro amore.
15. E se invece Dio non si occupasse delle faccende umane? Se la sofferenza non avesse alcun senso? Se la perdita di un figlio fosse solo un incidente, una casualità indipendente dagli eventi, cioè dall’intreccio delle conseguenze dei peccati dell’uomo?
16. Abbiamo la presunzione di pretendere di capire cosa sia per noi il male, ma in realtà non lo sappiamo. Basti pensare all’affermazione di un giovane riportata fedelmente: “Dio non esiste perché altrimenti sarei qui con una bionda e con una birra”. Pensate che sappia davvero cosa sia bene per lui?
17. Dio ha messo l'uomo in condizione di godere del mondo. Forse non abbiamo abbastanza fede. Perché Dio ci ha creato? Per renderci partecipi della sua felicità, per farsi amare, ma noi lo abbiamo rifiutato.
18. Proviamo a guardare il male con lo sguardo al futuro. Il male ha senso nel cammino. Tutti possono inciampare lungo il loro percorso, ma bisogna tirare le somme soltanto alla fine. Il male avrà la meglio o potrà essere superato? San Paolo disse: Male dov’è la tua vittoria?. Il male verrà sconfitto e alla fine non sarà il vincitore perché trionferà l’amore.
19. Non basta credere in Dio per non soffrire. Gesù Cristo è morto in croce: la sofferenza è ineliminabile.
20. C’è chi vede il male come conseguenza della lontananza di Dio dall'uomo. Se è vero che la fede è il mezzo per superare il male, sia fisico che morale, perché Dio non mette un po' più di fede nella coscienza della gente? Facciamo troppa fatica per cercare di trovare una soluzione, una risposta ai nostri problemi. Perché non ci chiama con più forza? Una possibile risposta è che siamo noi a non sentirlo, ma in realtà è più vicino di quanto sembri.
21. Per una persona che deve superare la sofferenza per la morte di un figlio, la fede serve per solo per accettare la situazione, o per dare una motivazione, una spiegazione, un significato? I due aspetti viaggiano in parallelo: è l'amore per Dio che spiega tutto. Non riuscendo a capire e spiegare tutto, possiamo fidarci che ci sia una motivazione.
22. Il progetto che stiamo portando a termine, con l’aiuto di Dio, alla fine va avanti comunque. Dove non riesco a vedere con i miei occhi e a spiegarmi tutto, agisco come se fossi il braccio di Dio e mi fido che la mente divina mi conduca bene.
23. Quando faccio un sentiero di montagna in mezzo al bosco, senza nemmeno vedere dove sto andando, fatico e mi chiedo che senso abbia quella sofferenza. Quando poi arrivo sulla vetta ecco che capisco finalmente che ciò per cui ho faticato era una cosa buona, che la mia sofferenza aveva un senso. Dio ci dice: fidatevi, la vostra sofferenza non è fine a se stessa. Ogni uomo deve soffrire e morire, ma se la viviamo in Cristo, la sofferenza prende significato. Fiat voluntas tua, anche nella notte buia.
24. Un progetto implica fatica e sofferenza, altrimenti non ne sarebbe evidenziata l’importanza e darebbe poca soddisfazione. In questo senso dobbiamo soffrire la nostra sofferenza a Dio. Come quando si fa un regalo, più sforzo si è fatto e più il gesto viene nobilitato.
25. Ci sono delle sofferenze di cui capiamo facilmente il significato: se vado a correre fatico, ma riconosco il vantaggio che ne deriva. Altre sofferenze non le possiamo spiegare e dobbiamo confidare in Dio che abbiano un significato: siamo troppo limitati per riuscire a spiegarci tutto. Non si può incriminare Dio perché infligge la sofferenza: non abbiamo la visione completa degli eventi. Provando ad allargare le prospettive dobbiamo considerare che spesso la nostra sofferenza porta, anche indirettamente, al bene di un'altra persona. Allo stesso modo nella nostra vita abbiamo tratto beneficio dalla sofferenza di qualcun altro. Basti pensare ad una madre che ogni giorno, anche contro voglia, fa il possibile per la felicità di un figlio che, dando per scontato il suo lavoro e la sua fatica, magari non valorizza quella sofferenza; o alla moglie che tiene in ordine la casa con sacrificio, mentre il marito ha solo pretese e non si rende conto del suo lavoro. Dobbiamo cercare di guardare l'uomo da un punto di vista generale, sollevandoci dall'individuale all'universale, perché siamo tutti fratelli.

Martedì 17 aprile 2007

Argomento dell'incontro: Il mistero del male come volontà divina e conseguenza umana.
1) Abbiamo cercato di analizzare in quali casi una guerra si possa considerare giusta.
Padre Konrad ha affermato che nella dottrina cattolica l’omicidio è contemplato in tre casi:
-autodifesa contro un aggressore ingiusto;
-guerra giusta, solo in caso di necessità se non c'è altro rimedio e con la retta intenzione di promuovere il bene ed eliminare il male;
-pena di morte in casi estremi.
Don Carlo Seno ha precisato che tutti e tre si possono riassumere nell'unico caso della legittima difesa.
2) E’ lecito per un credente che segue l’esempio di Cristo del porgere l’altra guancia, rispondere alla violenza con la violenza? Cosa fare nel caso in cui vengano lesi i nostri diritti? E’ possibile rispondere alla violenza con la forza dell’amore? Sarebbe stato proponibile un atteggiamento come quello di Gandhi contro la macchina bellica nazista che voleva sottomettere l’Europa? Bisogna però considerare che Gandhi ha potuto usare il metodo della non violenza perché l'impero britannico condivideva gli stessi suoi valori, ma in India non li metteva in pratica. E se l’avversario non condivide gli stessi nostri valori? Hitler non avrebbe aspettato altro che trovare nemici non violenti per debellarli senza tanti scrupoli. Il vero pacifismo è la rinuncia a prendere in mano le armi o la lotta per assicurare una pace duratura?
3) “Voi non sapete cos'è la guerra, è un inferno!” La guerra è bella per chi non la conosce. Non si può considerarla come la guerra di Omero che era più un confronto tra abilità. Ora è una cosa sporca, senza rispetto per nessuno, con ordigni nucleari e armi batteriologiche che non lasciano né vinti né vincitori.
4) E’ giusto che uno stato entri in guerra per aiutarne un'altro? Lasciare morire migliaia di persone non sarebbe cristiano. D’altra parte è pericoloso perché uno stato potrebbe entrare in guerra solo per interessi economici. E' possibile la creazione di un ente internazionale che decida chi debba entrare in guerra e contro chi? All’interno di uno stato è possibile sancire delle norme per tutti i cittadini perché la collettività condivida valori comuni, usanze, tradizioni? Ma ciò non è estendibile in forma globale perché non ci sono solide basi comuni su cui costruire una legislazione universale.
5) Perché siamo titubanti nell’accogliere gli stranieri e farli integrare? Siamo un po’ xenofobi? Gli extracomunitari attentano la nostra vita o piuttosto il nostro livello di benessere e i nostri agi? Oppure minacciano i nostri valori? Nei condomini è facile temere un albanese pensando che sia abituato a risolvere i problemi tirando fuori un coltello. In realtà ciò nasce dalla mancanza di conoscenza e dalla superficialità nei rapporti umani col prossimo. Affaccendati come siamo non abbiamo né il tempo né la voglia di scambiare con i nostri vicini due parole, ma non perdiamo l’occasione per fare commenti e critiche sgradevoli.
6) E’ giusto farsi giustizia da sé quando riteniamo che lo Stato non abbia tutelato i nostri diritti? Cicerone dice: “Per essere liberi bisogna essere schiavi delle leggi”. Quando vediamo un genitore che si scaglia con cattiveria contro l’assassino di sua figlia, o che pretende pene più severe, dobbiamo pensare che sia un eccesso di violenza o una sete di giustizia? L’atteggiamento più costruttivo sarebbe quello di un genitore che trovasse la forza di dialogare con l’aggressore per fargli capire, col dolore da lui provato, l’orrendo sbaglio commesso.
7) Non contenti di questa società dobbiamo aspettarne il crollo per poi ricostruirla oppure speriamo in un miglioramento? Cosa possiamo fare? Bisogna partire dall'educazione impartita dai genitori ai figli in famiglia. Gli anziani considerano i loro figli perfetti, ma lamentano il comportamento dei loro nipoti che sono i ragazzi di oggi. Sorge una domanda: perché i figli degli anziani non sono stati in grado di impartire a loro volta la stessa educazione ai loro figli? E’ troppo comodo pensare che sia colpa della società, nonostante si debba riconoscere che essa è profondamente cambiata con il ‘68. La società ha voluto una maggiore libertà, ma non è stata in grado di amministrarla. Siamo passati da una famiglia autoritaria, dove la volontà dei genitori era rispettata senza tante giustificazioni, a giovani abbandonati e arroganti che non accettano ordini da nessuno. Bisogna ammettere che le mamme d’oggi non sono più vicine ai loro figli, forse per motivi economici, o perché la precarietà dei matrimoni ha reso necessario alla donna lavorare per garantirsi una certa indipendenza, o perché la donna stufa del ruolo di casalinga ha preferito trovare soddisfazioni fuori della famiglia, cioè nel lavoro. Un genitore poco presente non è in grado di avere una forte autorità sui figli, perché per avere risultati bisogna dedicare tempo. Inoltre l’agiatezza economica di questo periodo ha portato i genitori a concedere molti più capricci ai figli che spesso crescono viziati perché, stanchi dopo una giornata lavorativa, loro non hanno le forze per lottare contro le pretese dei figli e si arrendono ad ogni richiesta pur di evitare un clima di conflitto, dimenticando che lo scopo di un genitore è proprio quello di educare con pugno di ferro in guanto di velluto.

Martedì 20 marzo 2007

Argomento dell'incontro: i dogmi delle religioni sono precetti assoluti o legati al contesto sociotemporale?

1) In conformità a come noi consideriamo le religioni, tenendo come presupposti l’universalità della rivelazione divina da una parte e della comprensione umana dall’altra, abbiamo le seguenti correnti di pensiero:
-Relativismo: tutte false (nessuno può comprendere la rivelazione divina).
-Pluralismo: tutte vere (tutti possono comprendere, in modo diverso, la rivelazione divina).
-Esclusivismo: una vera e tutte le altre false (gli altri non possono comprendere la rivelazione).
-Inclusivismo: una più vera delle altre nella credibilità di tutte (gli altri comprendono meno bene).
-Evoluzionismo: l'ultima in ordine cronologico è più vera delle altre (la comprensione dipende dalla storia) [ma l’evoluzione culturale non è legata alla cronologia, come la rivelazione non muta nel tempo].
2) Scegliere di abbracciare una religione non è come comprarsi un’auto da un catalogo, è una cosa molto più coinvolgente. Siccome nasciamo in un contesto sociale di cui la religione fa parte, non avrebbe senso vivere secondo certe usanze, né professare una religione che appartiene ad un ambiente a noi estraneo. Allo stesso modo se nasco in un paese in cui si parla una certa lingua, non ha senso che io decida di impararne un’altra perché secondo me è migliore, tenterò piuttosto di parlare la mia nel modo migliore possibile perché, essendo cresciuto con essa, è parte di me. Inoltre non sarebbe giusto dire che gli altri sbagliano a parlare la propria lingua (non giudicare se non vuoi essere giudicato, perché gli altri potrebbero applicare lo stesso criterio su di te). Questo non é relativismo, bensì relatività culturale, cioè la consapevolezza che ogni linguaggio religioso dipende necessariamente dal tempo e dal luogo.
Russell critica questo pensiero dicendo che la gente non è libera di decidere se credere in Dio oppure no perché nasciamo già schiavi della religione della società in cui viviamo. Però quest’obiezione mira a colpire direttamente la credibilità stessa di Dio e non la naturale relatività delle culture umane.
3) Pur essendo convinti che la nostra religione sia la strada migliore per arrivare a Dio, ci vuole umiltà nell'esporre il nostro pensiero senza la presunzione di essere arrivati alla conoscenza completa, ma lasciando ogni porta aperta al dialogo e ai dubbi. D’altra parte non sarebbe sincero rispettare con distacco tutte le religioni, perché, se credo in una religione, ritengo che sia la più vera e tenterò con tutte le mie forze di convincere anche gli altri perché credo veramente che sia la strada migliore e possa fare del bene e aiutare molte persone. Se ho ottenuto la felicità, cercherò con ogni esortazione di rendere partecipi gli altri di questa fortuna. Siamo pronti a dare testimonianza della speranza che è in noi.
4) Padre Konrad usando la teoria degli insiemi vede la nostra religione come l'anello centrale, la pura verità, e le altre come anelli che intersecano in vari punti quello centrale, con elementi in comune (che partecipano quindi della verità) ed elementi propri (che non godono della verità assoluta).
5) Chi decide quando una verità diventa eresia? Un concilio? Sono comunque delle persone; é vero che interpretano la parola di Dio, ma possono sbagliare. Il concilio ha scelto la via migliore tra le tanti possibili,. ma le vie del Signore sono infinite. Il concilio parla a maggioranza, ma non é detto che la verità non possa risiedere anche in una sola persona. Ricordiamo che Cristo all’inizio era solo ad esporre le sue idee contro la mentalità tradizionale ebraica.
6) Come in questa società si è deciso che uccidere sia sbagliato, e quindi non si possa fare, così la Chiesa decide che, se vuoi appartenere a questa comunità, devi rispettare le norme che essa pone.

7) Perché fino a poco tempo fa la Chiesa ha voluto nascondere la Bibbia, evitando che il singolo fedele si avvicinasse da solo alle letture e volendo essere la sola interprete, quasi come se Dio non potesse parlarci direttamente e avesse bisogno di un avvocato? Perché effettivamente è pericoloso leggerla da soli senza avere un background culturale alle spalle che ci permetta di contestualizzare.
Servono delle guide o ognuno può essere interprete della parola di Dio? Ognuno può leggere le Sacre Scritture e dare una sua interpretazione, ma è saggio confrontare le proprie idee con un esperto in materia la cui interpretazione è di sicuro più in linea con il vero significato.
8) Dogma: verità rivelata da Dio e promulgata dal magistero della chiesa.
9) Qual è il limite tra precetto e dogma? Quale cambia nel tempo e si adatta alla società, e quale resta immutato nei secoli perché fondamento del credo? Vedremo forse un giorno preti sposati come agli albori della Chiesa? Potrà mai diventare sacerdote, parroco o addirittura Papa, una donna?
10) Perché da un giorno all’altro la Chiesa decide di stabilire un nuovo dogma? Perché essa coglie l'occasione socioculturale per divulgare ciò che si é sempre creduto fosse una verità pur non avendo mai avuto l'opportunità di definirla come dogma. Non si possono imporre tutti i precetti subito. Come un genitore non dice subito tutto al figlio su come debba comportarsi, ma lo accompagna mentre cresce, così la Chiesa aspetta che i tempi maturino per imporre un dogma.
11) Papa Giovanni Paolo secondo è stato essenziale perché ha chiesto scusa per gli errori fatti dalla Chiesa in passato, ma ha posto un dubbio: se la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo, non è infallibile?
12) Non importa sapere cosa ha fatto la Chiesa in passato, ma ciò che è ora.
13) L'uso della forza è necessario. Non si può essere pacifisti, ma a favore di una guerra giusta. Se si è convinti delle proprie idee bisogna difenderle con forza. Ad esempio come si sarebbe potuto rimanere inerti di fronte alla pazzia nazista? D’altra parte dove le persone si uccidono è difficile pensare che Dio possa schierarsi a favore di qualcuno.
Anche lo Stato usa la forza per far rispettare le proprie leggi. Attenzione che la forza non è per nulla collegata con l’uso della violenza.
Le conversioni forzate sono una violenza alla libertà del singolo.
14) Al di lá di tutte le discussioni , a prescindere da tutti i filosofi e i teologi che hanno avuto idee diverse, oltre alla razionalità non dimentichiamoci che si può contemplare Dio anche col sentimento.
La bellezza del creato è la testimonianza più eloquente dell’esistenza di un Dio creatore. Forse gli artisti giungono più vicini a Dio rispetto ai filosofi perché colgono l’essenza della bellezza e l’esprimono in maniera diversa.


Martedì 13 febbraio

Argomento dell'incontro: Si può vivere una vita atea ed essere sereni?

1) Si può vivere una vita atea ed essere sereni? Tutti possono essere soddisfatti della propria condizione, ma appena ci si accorge che essa può migliorare sensibilmente ci si rende conto che il benessere precedente era solo relativo.
2) Prendendo spunto dal testo di Russell Perché non sono cristiano si sono analizzate alcune tematiche. Tra le diverse religioni tradizionali qual è quella vera? Una? Nessuna? Tutte? Se diverse religioni pretendono l'assolutezza, o sono tutte false (Russell) o solo una è vera (padre Konrad).
Secondo Russell dalla pretesa di verità delle religioni nascono fanatismi e guerre sante. L' ecumenismo invece cerca il dialogo per sottolineare ciò che le unisce invece di evidenziare ciò che le divide.
3) Ha senso scegliere a tavolino la religione a cui aderire?
Come non andiamo a studiare tutte le lingue per poi scegliere quella che riteniamo più consona per esprimere il nostro pensiero, ma anzi c’impegniamo ad usare la lingua con la quale siamo cresciuti nel modo migliore, così non ha senso scegliere tra le varie religioni quella che secondo noi è più veritiera. Se tutte le religioni sono espressioni diverse per dire la stessa cosa allora basta credere in un proprio Dio e comportarsi bene? Ciò porterebbe al relativismo.
4) Perché le religioni andavano a fare proselitismo (missionari)? La Chiesa deve aprirsi non può chiudersi, deve portare il Vangelo.
5) Il modo migliore per trasmettere la Verità non è a parole ma con l'agire: la testimonianza.
6) Pascal dice: o abbracci interamente una religione o niente, non puoi prendere solo ciò che ti va bene a tuo uso e consumo. Devi immergerti totalmente, provare il fuoco, l'ardore della fede, provare a fidarti ciecamente di Dio, rinnegare te stesso e porre nelle Sue mani il tuo destino. La religione non è un semplice insieme di precetti, ma è un dialogo intimo tra l’uomo e Dio.
7) Siamo credenti "tiepidi" perché non conosciamo nulla della nostra religione. Gli islamici incentrano la loro vita sulla religione pensando la loro vita intorno ad essa, noi invece pensiamo alla religione come a qualcosa che viene dopo, quando ci fa comodo, quando abbiamo tempo. Si va a Messa la domenica per avere la coscienza pulita e poi ognuno torna a fare la sua vita.
8) Possiamo vedere la religione come la manifestazione di Dio in un particolare luogo e tempo che chiama a sé l'uomo. Le diverse religioni dovrebbero cercare di essere d'accordo sui precetti fondamentali della vita, ma non bisogna dimenticare che la religione è inserita in una società e in un determinato periodo storico, quindi non si può pretendere di accordarsi su tutti i precetti contingenti, su questo punto è difficile dialogare. Basta vedere come una stessa religione cambi nel tempo. Dobbiamo cercare gli elementi di unità pur mantenendo le diversità perché legate all’identità storico-culturale.

domenica 1 luglio 2007

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